Il prof. Enzo
Avagliano, docente di scultura presso il Liceo Artistico “A.
Sabatini” diretto dal preside prof. Michele Sabino, si è
fatto promotore e referente di un originale progetto
artistico finalizzato a ricercare il dialogo non soltanto
con l’oggetto-opera ma anche con altri soggetti-persona,
colleghi ed alunni, attraverso differenti livelli di
coinvolgimento esperenziale e creativo. Il Laboratorio di
scultura del maestro Avagliano si è attivato nella persona
dello stesso docente, nonché attraverso la partecipazione
della classe III C e di un’allieva della classe II A. La
prof.ssa Anna Sessa, docente di discipline plastiche, ha
guidato gli allievi del Corso Serale, mentre il prof.
Umberto Aliberti ha messo a disposizione la sua preziosa
esperienza e preparazione quale aiutante tecnico per la
realizzazione delle opere in ceramica. Significativa per il
taglio multidisciplinare dell’iniziativa culturale,
l’adesione della prof.ssa Francesca Poto che ha creato
esclusivamente per il progetto due incisioni segnate da una
straordinaria tensione vitale, nel segno e nella policromia.
L’esperienza
di collaborazione fra docenti di diverse discipline ha avuto
una funzione maieutica nei riguardi degli alunni ai quali è
stata fornita l’occasione di riflettere creativamente su un
tema poco comune e ricorrente, ma destinato ad essere
incontrato, seppure in termini diversamente incisivi, da
ogni nato di donna. Fonte di ispirazione è stata una
miniatura raffigurante la Crocifissione di Cristo, tratta da
uno dei più importanti Codici illustrati del sec. XI giunti
sino a noi. Si tratta del Codice Vaticano Latino 5729 che
fu miniato tra gli anni 1015 e 1020 nello scriptorium
del monastero di Santa Maria di Ripoll fondato nell’anno
880 in Catalogna. All’epoca dell’abate Oliba (1008-1046), un
tempo di grande rinascita spirituale e culturale, venne
redatta una recensione della Bibbia destinata allo studio
più che alla liturgia, accompagnata da un ricchissimo
apparato di testi esegetici e da un ampio repertorio di
illustrazioni bibliche tra i più vasti ed interessanti della
loro epoca, con scene e motivi per i quali non esistono
paralleli iconografici. Tra i manoscritti della ricca
Biblioteca – ne conteneva nel 1046 ben 246 - quello di
maggior valore è appunto la “Bibbia di Ripoll”, conosciuta
erroneamente dal sec. XVII come “Bibbia di Farfa”. Ancora
non sono del tutto scientificamente accertati i tempi ed i
percorsi in seguito ai quali la Bibbia di Ripoll pervenne
alla Biblioteca Apostolica Vaticana. E’ indubbio però il
Codice apparteneva alla Biblioteca Vaticana all’inizio del
XVII secolo, come prova la rilegatura che vede lo stemma
papale di Urbano VIII Barberini (1623-1644) insieme con lo
stemma cardinalizio di Scipio Cobelluzzi, Prefetto della
Biblioteca negli anni 1618-1626 (A. Contessa, 2003; J.
Pijoán 1911-1912; W. Neuss, 1912, 1922). La “Bibbia di
Ripoll” è conosciuta erroneamente dal sec. XVII come “Bibbia
di Farfa”: agli inizi dell’attuale secolo il celebre esegeta
Anscario Manuel Mundò ha dimostrato in un articolato saggio
l’errata attribuzione dell’illustrazione del Codice Vaticano
Latino 5729 all’Abbazia di Farfa (A. M. Mundò, Città del
Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana 2002).
E’ pertanto
prestigioso il modello con il quale l’iniziativa
didattico-artistica si è misurata. Le creazioni proposte
nella mostra si ispirano alla Crocifissione realizzata nel
Codice come scena storica. Nell’antica iconografia
cristiana le scene storiche presentano il Cristo correlato
alla croce come il divino trionfatore sulla morte: è
l’iconografia del Christus Triumphans che
rappresenta in una sola immagine il mistero della morte e
della risurrezione del Cristo. Trascende il piano emotivo e
non suscita l’emozione ma evoca il mysterium tremendum
dinanzi alla parusia del trascendente (P. N. Evdokimov,
Paris 1972). Dal sec. XI gradualmente si afferma
l’iconografia del Christus Patiens, sofferente e
morto sulla croce, offerta alla meditazione emotiva e
partecipata del fedele. La diffusione del Christus
Patiens è favorita dai Francescani perché ben concorda
con la religiosità emotiva ed umanizzata da loro sostenuta.
Nel
Crocifisso del Codice Vaticano Latino 5729 si legge il
passaggio in atto verso la nuova iconografia e vi si
afferma sia la divinità del Cristo – corpo apollineo ed
eretto, occhi aperti e vivi che guardano intensamente - in
funzione antiariana, perché la sofferenza avrebbe velato la
sua divinità, negata da Ario; sia la sua natura umana –
accentuazione patetica del sangue e della drammaticità,
mestizia del viso, in particolare dello sguardo – contro il
monofisismo che assegnava al Cristo la sola natura divina,
di per sé impassibile.
Il Cristo è
su una semplice croce di legno il cui colore verde allude
all’origine del legno sul quale venne crocifisso Gesù,
proveniente secondo la Legenda Aurea di Jacopo da
Varagine dall’albero nato sulla tomba di Adamo. La croce è
profilata di rosso, segno del sangue versato da Cristo il
quale ha il capo aureolato dal nimbo crociato. I piedi dai
talloni accostati e dalle punte divergenti sono trafitti
ciascuno da un chiodo, secondo l’originaria iconografia
della crocifissione che seguiva le modalità secondo le quali
si svolgeva storicamente il supplizio. Nel “calvario”: la
testa di Adamo, simbolo dell’intera umanità sulla quale
discende il Sangue liberatore del Signore Gesù crocifisso.
Alla sua
destra, la Madre, sebbene abbia impresso sul volto i segni
di un’accorata mestizia, “sta” però eretta e composta: è la
“Stabat Mater” che stava dritta in piedi ai piedi della
Croce. L’Artista mostra Maria quale cooperatrice alla
Redenzione o, come sarà chiamata dalla moderna teologia,
Corredentrice, poiché la raffigura mentre protende entrambe
le braccia verso il Cristo crocifisso, con le mani aperte
verso l’alto nell’atto dell’offerta al Padre del Figlio a
favore dell’umanità. La Vergine indossa una lunga veste
rossa completa di velo che le avvolge il capo ed, al di
sopra, un mantello blu, secondo i colori che saranno suoi
nella tradizione iconografica: il blu, segno dell’umanità ed
il rosso, segno della divinità, colori simbolici della
duplice natura divina ed umana del Figlio alla quale lei
accede non per origine ma per partecipazione. La Vergine
Maria è vestita da vedova altolocata, ad indicare che benché
madre non fosse mai stata moglie di nessuno. Il suo velo
copre gran parte della fronte, il che in quel tempo era
segno di nobiltà ( A. M. Amman, Roma 1957).
Giovanni
indossa una lunga veste azzurra ricoperta da un mantello
verde chiaro indossato a guisa di toga. Leva il braccio
destro nell’atto di portare la mano al viso, nel segno
canonico del dolore (A. Grabar, Paris1968), mentre il
braccio sinistro, ripiegato alla vita a sostenere la toga,
regge il Vangelo.
Tra il Figlio
e la Madre, Longino trafigge il costato di Cristo, mentre
tra il Maestro ed il Discepolo un altro inquietante
personaggio innalza verso il Redentore la spugna imbevuta di
aceto. Rileva André Grabar che il successo di cui hanno
goduto presso gli iconografi i personaggi del portatore di
lancia e del portatore di spugna, è dovuto alla loro qualità
di testimoni oculari della Crocifissione (A. Grabar, Paris
1946). Inoltre al colpo di lancia inferto al fianco del
Redentore è collegato il simbolismo del sangue e dell’acqua
sgorgati dal costato di Cristo e interpretati quale figura
della nascita della Chiesa. Molti Padri della Chiesa hanno
visto nell’acqua il simbolo del battesimo, nel sangue quello
dell’Eucarestia ed in entrambi questi due sacramenti, il
segno della Chiesa, nuova Eva che nasce dal costato di
Cristo, nuovo Adamo.
Il prof.
Avagliano ha realizzato per la mostra una prima croce in
ferro, nella quale le lamiere sagomate sono sovrapposte e
incurvate a restituire una cifra
tridimensionale. L’argenteo freddo del fondo è
vitalmente tormentato dalle marezzature naturali provocate
dagli ossidi di ferro gialli e rossi della ruggine. Sul
corpo martoriato del Cristo, i selezionati interventi con
gli acidi dicono drammaticamente la Passione, trascorsa ed
ancora in atto. E’ un’opera che ha il sapore della
successiva iconografia detta del Christus Dolorosus
dove l’accentuazione della drammaticità porterà alla
creazione di immagini strazianti, dinanzi alle quali solo
l’abitudine e la ripetizione delle forme espressive possono
far dimenticare l’orrore e la pietà per la Persona ivi
raffigurata. L’Artista vuole parlare al cuore indurito
dall’allontanamento da Dio e inaridito da un’adesione a
Cristo soltanto apparente: motivata dall’abitudine o dalla
convenzione sociale, ma priva dell’incontro reale con la
Persona del Cristo.
Nella
seconda, essenziale croce in legno, la severità delle linee
verticali della noce manzonia esprime la tragica solennità
dell’evento. In queste raffigurazioni la sagoma del
Redentore è molto vicina a quella dell’orante – ed esprime
il valore di intercessione universale del suo sacrificio
salvifico ( A. Grabar, Paris 1946). Tale gesto della
preghiera di intercessione è anche il gesto amoroso e
accogliente della protezione e nel contempo della difesa: le
braccia di Cristo sulla croce sembrano tendersi verso
l’umanità come braccia protettrici. Ricordiamo l’accorata
esclamazione di Gesù: “Gerusalemme, Gerusalemme, tu che
uccidi i profeti e lapidi quelli che sono stati mandati a
te, quante volte ho voluto raccogliere i tuoi figli, come
una chioccia raccoglie i suoi pulcini sotto le ali, e voi
non avete voluto” (Mt 23,37 – trad. CEI 2009).
Nella terza
croce, ancora in legno, la sperimentazione mette in atto una
plasticità materica trasmessa dal colore impastato con il
cemento. Ruolo cromatico fondamentale possiede il verde del
fondo, che si illumina con il cromatismo complementare del
rosso della cornice e della croce nell’aureola e rende
ancora più evidente il sangue che sgorga dalle trafitture
dei chiodi e della lancia, segno apologetico della realtà
dell’incarnazione del Verbo. La composizione esprime in
maniera efficace la verità delle sofferenze di Cristo, vero
uomo. La dignità e la dolcezza con le quali rivolge un
amareggiato, intenso sguardo interrogativo a colui che,
simbolo di tutti gli uomini, gli sta trafiggendo il
costato, rinviano all’amorosa obbedienza verso il disegno
salvifico del Padre, che passa attraverso la sua Passione.
Nell’iconografia del Patiens si manifesta anche la
divinità di Cristo, vero uomo: la si rinviene qui anche
nella giovinezza del viso e del corpo, secondo uno stato
ideale di giovinezza del Christus puer che allude
alla dimensione di eternità che gli è propria – Grabar,
Paris 1946 - Così viene rappresentato sulla porta
lignea della basilica di S. Sabina (V sec. ) a Roma ed in
una delle ampolle palestinesi di Monza (V sec.).
La classe
III C ispirandosi all'immagine della Bibbia di Ripoll ha
realizzato 6 crocifissi, dei quali 4 in legno (2 grandi e 2
medio-piccoli) e, guidata dal prof. Umberto Aliberti, 2 in
ceramica. Colpisce tra le altre una croce in ceramica di
grande semplicità e potenza espressiva, nei solchi che
incidono profondamente i tratti somatici del Cristo, le
pieghe sintetiche della barba. La figura presenta un
cromatismo dai toni terrosi che diventa luminoso e cangiante
nell’uso sapiente della cristallina, quasi a significare
l’approssimarsi dello status di corpo glorioso.
La prof.ssa
Anna Sessa ha guidato il Corso Serale nella realizzazione di
un crocifisso in plexiglass dai contenuti interventi
cromatici: la sua trasparenza dialoga con la sottostante
croce in ceramica, il cui biancore è attraversato dai
bagliori ocracei e dorati delle decorazioni a motivi
bizantineggianti. Ancora, il Corso Serale ha presentato una
Croce dipinta in ceramica policroma su pietra lavica.
Grazie alla diversità degli smalti che restituiscono una
differente matericità, dal verde fondo poroso emerge il
corpo dalla pelle marmorea, ma levigata e lucida. La scelta
della pietra lavica quale supporto dichiara la vicinanza al
territorio e vuole evocare la terribilità del Vesuvio, in
aderenza con la drammaticità dell’Evento.
La
prof.ssa Francesca Poto ha creato due incisioni policrome:
sul globo terrestre si leva il legno su cui è crocifisso il
Cristo Signore. In primo piano, si impennano i cavalli e
fremono i buoi, associati al Sole ed alla Luna, gli astri la
cui presenza nei clipei sovrastanti le braccia della Croce
simboleggiano la partecipazione e lo sconvolgimento di tutta
la Creazione che partecipa e si commuove dinanzi alla
crocifissione del suo Creatore per mezzo del quale “sono
state create tutte le cose, quelle nei cieli e quelle sulla
terra” (Col 1, 16). Le personificazioni del sole e della
luna, derivanti dai culti astrali antichissimi della Terra
dei due Fiumi e del Mediterraneo, erano poi penetrate
nell’iconografia principesca come immagine dell’aeternitas
del monarca divinizzato e di lì, poi, del personaggio che
inquadrano (A. Grabar, Paris 1946; H. e M. Schmidt, Roma
1988).
Nella
miniatura di Ripoll raffigurante la scena storica della
Crocifissione, l’Autore dimostra di possedere pienamente una
conoscenza non soltanto della cultura cristiana, ma anche
della cultura classica. La mitologia classica voleva il
carro di Elios- Apollo trainato da cavalli di fuoco che
alludevano al ruggente splendore del sole. Ad Artemide-Diana,
dea dell’argentea luna, erano associati i buoi che sul capo
portavano la mezzaluna configurata dalle loro candide corna.
Il miniaturista raffigura così nel clipeo del sole, in
primo piano, quattro rossi cavalli in corsa, ai quali fanno
da contrappunto nel clipeo della luna quattro bianchi buoi
dalle candide corna a mezzaluna. Alle loro spalle, le
personificazioni del sole e della luna a figura intera,
riconoscibili rispettivamente dal raggio di fuoco che esce
dai capelli fulvi del sole e dalla bianca mezzaluna
seminascosta nei capelli della luna, la cui tunica ha il
freddo colore del cielo. Entrambe le personificazioni
presentano una mano aperta e levata nell’antico segno del
giuramento, che in questo caso attesta la divinità del
Cristo crocifisso.
A
conclusione della nostra breve disanima, possiamo affermare
che attendiamo con interesse ed intellettuale curiosità la
prossima iniziativa pedagogico-artistica del prof. Enzo
Avagliano, coadiuvato dall’indispensabile collaborazione dei
valenti colleghi-artisti del Liceo, nella convinzione che
saranno ancora una volta coniugate creatività e perizia
didattica, promozione della crescita umana degli allievi e
talento personale, per la più ampia utilità della “casa
comune”.
Salerno, maggio
2009
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